Se la poesia non nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non nasca neppure.
John Keats, Lettera a John Taylor, 1818
Quella della naturalezza e dell'artificiosità nell'ambito della poesia è una quaestio molto presente nell'ambiente critico-letterario. Se da un lato si sostiene che il poeta debba essere preso/posseduto dal fuoco della poesia (altrimenti non è poeta), dall'altro non si può fare a meno di giudicare indispensabile il cosiddetto labor limae, il lavoro di lima, la rifinitura che molti critici amano a tal punto da affermare che fare poesia significa tagliare.
Quello del poeta è un duro mestiere che lo porta continuamente a chiedersi se la sua poesia sia degna di essere letta oppure no.
Certamente sono vere entrambe le posizioni che devono però confluire in un'unica direzione: che è quella di mantenere intatta la naturalezza del momento di creazione poetica. La rifinitura, qualora necessaria, non dovrebbe rendere la poesia artefatta e solidificare la fluidità della trasmissione poetica; ma dovrebbe limare, a volte tagliare, quei detriti che il fiume porta con sè alla foce. Il buon rifinitore elimina i detriti e lascia inalterata l'acqua nata dal fuoco della poesia.
Tutto questo non è assolutamente facile e non è neppure una tecnica da apprendere e affinare. Ogni volta è una nuova sfida, anche per i poeti più maturi. Per cui il poeta è e resta sempre un dilettante.
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